#5 IL MITO
STORIA E LEGGENDA DEL CONTE TRAMONTANO
L’anno 1495 segna per Matera l’inizio di un periodo oscuro e triste a causa delle vicende che la vedranno sottomessa per la prima volta alla servitù feudale.
Proprio in quel periodo, la figura di Giancarlo Tramontano, originario di Sant’Anastasia, vicino Napoli, umile popolano sostenitore degli aragonesi, emerge fra tumulti e tensioni per il dominio sulla città partenopea.
Proprio in quel periodo, la figura di Giancarlo Tramontano, originario di Sant’Anastasia, vicino Napoli, umile popolano sostenitore degli aragonesi, emerge fra tumulti e tensioni per il dominio sulla città partenopea.
Nonostante avesse una carica importante quale Mastro della Regia Zecca, ritornò a Matera colmo di debiti pretendendo dall’aristocrazia locale, sempre più offesa e derisa, altre gabelle e tasse per colmare le casse vuote.
Il 28 dicembre del 1514 chiese al popolo 24 mila ducati per sanare un debito con il suo creditore catalano Paolo Tolosa.
Esasperati dai continui soprusi, alcuni popolani e nobili, riunitisi nel Sasso Barisano nei pressi della Parrocchia rupestre di San Giovanni Vecchio, nascosti dietro un masso, “u pizzone du mmal consighj” – il masso del mal consiglio -, che fungeva da testimone, organizzarono l’uccisione del Conte.
L’agguato si sarebbe svolto l’indomani in Duomo, poiché la chiesa era l’unico posto dove il Conte era costretto, dalle usanze del tempo, a disarmarsi.
La guarnigione armata lo avrebbe atteso all’esterno come sempre. D’altronde le sue guardie, mercenarie, si potevano corrompere facilmente. E così fu. La sera del 29 dicembre 1514, infatti, in occasione della messa del vespro, il Tramontano fu affrontato dai congiurati, si difese strenuamente ma dopo aver cercato invano la fuga, fu ucciso in una via laterale del Duomo, l’odierna Via Riscatto.
Il 28 dicembre del 1514 chiese al popolo 24 mila ducati per sanare un debito con il suo creditore catalano Paolo Tolosa.
Esasperati dai continui soprusi, alcuni popolani e nobili, riunitisi nel Sasso Barisano nei pressi della Parrocchia rupestre di San Giovanni Vecchio, nascosti dietro un masso, “u pizzone du mmal consighj” – il masso del mal consiglio -, che fungeva da testimone, organizzarono l’uccisione del Conte.
L’agguato si sarebbe svolto l’indomani in Duomo, poiché la chiesa era l’unico posto dove il Conte era costretto, dalle usanze del tempo, a disarmarsi.
La guarnigione armata lo avrebbe atteso all’esterno come sempre. D’altronde le sue guardie, mercenarie, si potevano corrompere facilmente. E così fu. La sera del 29 dicembre 1514, infatti, in occasione della messa del vespro, il Tramontano fu affrontato dai congiurati, si difese strenuamente ma dopo aver cercato invano la fuga, fu ucciso in una via laterale del Duomo, l’odierna Via Riscatto.
Si ha certezza di questa tragica data grazie ad un’incisione presente sulla base di una colonnina della chiesa di San Giovanni Battista che recita: DIE 29 DEC … INTERFECTUS EST COMES.
Si racconta che fu denudato e colpito ripetutamente con le pesanti alabarde sottratte ai suoi uomini, prima di essere abbandonato, a brandelli, in una pozza di sangue.
Le campane suonate a martello annunciarono la morte del tiranno ed il popolo, ormai in tumulto, invase le strade ed i vicoli, correndo e gridando.
Ci furono tentativi di incendio ai documenti della pubblica magistratura e, dopo una violenta irruzione nel suo palazzo, fu arrestata sua moglie e saccheggiata ogni cosa.
Il buon senso di alcuni cittadini prevalse e la Contessa fu salvata da altri orrendi atti.
Non furono mai trovati i colpevoli, né assassini e né mandanti, e gli unici nomi che compaiono fra gli indiziati sono Tassiello di Cataldo e Cola di Salvagio, e la leggenda popolare vuole che a compiere il delitto sia stato uno schiavone, ossia un serbo-croato.
Si racconta che fu denudato e colpito ripetutamente con le pesanti alabarde sottratte ai suoi uomini, prima di essere abbandonato, a brandelli, in una pozza di sangue.
Le campane suonate a martello annunciarono la morte del tiranno ed il popolo, ormai in tumulto, invase le strade ed i vicoli, correndo e gridando.
Ci furono tentativi di incendio ai documenti della pubblica magistratura e, dopo una violenta irruzione nel suo palazzo, fu arrestata sua moglie e saccheggiata ogni cosa.
Il buon senso di alcuni cittadini prevalse e la Contessa fu salvata da altri orrendi atti.
Non furono mai trovati i colpevoli, né assassini e né mandanti, e gli unici nomi che compaiono fra gli indiziati sono Tassiello di Cataldo e Cola di Salvagio, e la leggenda popolare vuole che a compiere il delitto sia stato uno schiavone, ossia un serbo-croato.
Il delitto fu considerato, per quel che era, un reato politico, ed un attentato alla corona, rappresentata sul territorio dal Conte.
Per punire i colpevoli fu inviato dal Re il Commissario Giovanni Villani, che fece impiccare quattro materani innocenti, inquisì altri cittadini che riuscirono a riscattarsi pagando 2 mila ducati ed accusò l’Amministrazione della Città per aver incoraggiato la sommossa e per non aver punito i colpevoli.
A conclusione della vicenda, considerato che per l’Università (il municipio) non fu possibile controllare la situazione, né domare l’istinto violento ed incontrollabile del popolo, né rintracciare i colpevoli fra la folla inferocita, fu imposto dall’erario un’ammenda di diecimila ducati, davvero tanti considerando che la citata collana di 25 perle ne costava circa 700.
Su solenne richiesta dell’allora sindaco di Matera Berlingerio de Zaffaris, il 22 giugno del 1515, il notaio Franciscum Groia di Matera fu ricevuto a Napoli dal Re Ferdinando d’Aragona che concesse, finalmente, un generale indulto.
Per punire i colpevoli fu inviato dal Re il Commissario Giovanni Villani, che fece impiccare quattro materani innocenti, inquisì altri cittadini che riuscirono a riscattarsi pagando 2 mila ducati ed accusò l’Amministrazione della Città per aver incoraggiato la sommossa e per non aver punito i colpevoli.
A conclusione della vicenda, considerato che per l’Università (il municipio) non fu possibile controllare la situazione, né domare l’istinto violento ed incontrollabile del popolo, né rintracciare i colpevoli fra la folla inferocita, fu imposto dall’erario un’ammenda di diecimila ducati, davvero tanti considerando che la citata collana di 25 perle ne costava circa 700.
Su solenne richiesta dell’allora sindaco di Matera Berlingerio de Zaffaris, il 22 giugno del 1515, il notaio Franciscum Groia di Matera fu ricevuto a Napoli dal Re Ferdinando d’Aragona che concesse, finalmente, un generale indulto.
Le vicende conosciute a Matera durante l’inchiesta, stimolarono la fantasia del commissario regio Giovanni Villani che scrisse una commedia prendendo spunto dall’episodio, intitolata “il Conte di Matera”, divenuta qualche secolo più tardi, nel 1955, un film con Virna Lisi.
E’ in questa commedia che ritroviamo quasi tutti gli elementi della leggenda popolare privi però di ogni fondamento storico, come le tasse ed i soprusi romanzati ed ingigantiti e come lo “ius primae noctis”, che avrebbe dato al Conte il diritto su tutte le donne nella loro prima notte di nozze, ancora vergini.
E’ in questa commedia che ritroviamo quasi tutti gli elementi della leggenda popolare privi però di ogni fondamento storico, come le tasse ed i soprusi romanzati ed ingigantiti e come lo “ius primae noctis”, che avrebbe dato al Conte il diritto su tutte le donne nella loro prima notte di nozze, ancora vergini.
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